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Questo settore è dedicato a tutti coloro che per passione, affetto o semplicemente per bellezza possiedono apparecchiature audio professionali, hi-fi ed accessori. Saremo lieti di pubblicare le vostre foto di HI-FI (impianti completi o singole apparecchiature) menzionando il vostro nome purché sia materiale di vostra proprietà e non superiore all'inizio degli anni '90. inviare le foto a:info@discocity.it


a cura di Marco Reverberi Fi Hi AUDIO consigli, curiosità e riflessioni

si prega di NON scaricare e ripubblicare altrove le immagini qui riportate senza la dovuta autorizzazione del proprietario della foto, grazie


T-Amp, il “piccolo” che insidia i grandi

di Marco Reverberi (2011) agg. 2014


Molti non se ne sono neppure accorti, ma nel corso del 2005 è avvenuta una vera e

propria rivoluzione “digitale” nel mondo dell’hi-fi.

Si chiama T-Amp ed è un piccolo amplificatore portatile del peso di circa 300 grammi

che può funzionare anche a batterie.

Tanta plastica, dimensioni estremamente ridotte e dal costo tutt’altro che proibitivo:

meno di 50 euro (all’epoca del lancio sul mercato).

Il T-amp è prodotto dalla casa americana Sonic Impact e si basa sul rivoluzionario

processore Tripath 2024, prodotto dalla azienda californiana Tripath, fondata

dall’ingeniere di origini indiane Adya Tripathi.


Questa tecnologia viene chiamata Digital Power Processing, o più semplicemente

"Classe T". Il primo T-amp (quello della Sonic Impact) eroga una potenza continua di

6 watt su 8 Omh o di 9 su 4 Omh.

Detto così sembra davvero poca cosa, ma è necessario non farsi ingannare dalle apparenze.

L'apparecchio è molto spartano e dispone di un solo connettore "minijack" in

ingresso, di due prese stereo a molla per i cavi di potenza e di un connettore per

l'eventuale alimentazione esterna (molto consigliata).

Per dirla tutta dovrebbe funzionare già bene con l'alimentatore a batterie in

dotazione, capace di erogare 12 volt ad 1 Ampere.

Tuttavia con un buon alimentatore esterno si ottiene il massimo della resa con 13 Volt circa e 3 Ampere.


Quando si è affacciato per la prima volta sul mondo dell'hi-fi, ha portato con sé

anche una massiccia dose di polemiche. Chi strepitava all'ennesima bufala e chi

inquadrava l'avvenimento come un vero e proprio miracolo, tanto che in poco tempo

è stato ribattezzato (impropriamente) "l'ammazzagiganti" per la capacità di

competere con i grandi, blasonati e costosissimi amplificatori di fascia alta.


Come al solito la verità sta nel mezzo. Personalmente ritengo il T-amp e tutti i

modelli che sono venuti dopo di lui (tantissimi) sia stato un vero miracolo della

tecnologia ed un eccezionale compromesso qualità-prezzo, tenendo ben presente il

costo intorno ai 50 euro.

Alla fine se si vuole fare un po' di attenzione ed ascoltare finemente e con senso

critico il T-amp, scopriremo che il suono non è perfetto, la costruzione

interamente in plastica non merita certo approfondimenti, ma ascoltando ad occhi

chiusi il risultato non può che essere eccellente (visto il prezzo) e che il limite

evidente è rappresentato su tutto dalla pessima alimentazione in dotazione.

Che il T-amp sia in grado di competere con un "signor" amplificatore analogico,

nemmeno per idea, ma è pur vero che alcuni amplificatori blasonati valgono davvero

molto meno di quello che costano...

a quasi 10 anni dal primo T-amp molte cose sono cambiate, il processore Tripath si è

evoluto e molte aziende concorrenti hanno migliorato lo chassis, i connettori,

l'alimentazione ed aumentato anche di molto la potenza.

Per chi cerca queste migliorie i prezzi sono cambiati e superano anche

abbondantemente i 100 euro. Ciò non toglie che sul mercato si possono ancora

trovare molti T-amp di nuova generazione ad un prezzo di circa 50-60 euro.

Tutto sommato...una gran bella cosa ed una sfida interessante per il futuro!

Marco Reverberi




Hi-Fi "vintage" o moderno? considerazioni soggettive a tema  

a cura di Marco Reverberi (2011)



Si sa, le mode tornano, proprio come le mamme invecchiano e i figli crescono. La ruota gira ed inevitabilmente torna da capo.

Come non restare affascinati da apparecchiature costruite con grande passione trenta o quaranta anni fa? Magari un apparecchio del nostro primo, storico impianto...


Recentemente ho “riesumato” il mio primo impianto. Giradischi Lenco B-55 equipaggiato da una mediocre testina Shure, ampli Denon SA-3300, diffusori Dynaco a bass reflex aperiodico smorzato, un registratore a cassetta orizzontale Akai ed un pò di cavetti rca al di sotto della mediocrità. Ci ascoltavo i Genesis, i Pink Floyd, i Deep Purple...ma anche i M.F.S.B., la disco music ed un buon quantitativo di musica italiana e country-rock. Dato che negli ultimi anni le vecchie apparecchiature Hi-Fi sono tornate di gran moda, sento in dovere di dire la mia. Per favore basta con la storia di “quel meraviglioso suono” ed altre sciocchezze del genere. Generalmente un mediocre impianto di oggi supera abbondantemente un mediocre impianto di allora. Con le dovute eccezioni, certo, ma normalmente (parlo del 1977) chi poteva non spendeva più di settecento, novecento o anche un milione di lire per un bell’impianto. Marantz, Denon, Technics, Luxman, Scott, Pioneer erano padroni (insieme ad altri) della scena Hi-Fi dell’epoca. Suoni impastati, bassi evidenti e medi a volte fastidiosi erano nella media del periodo. I dischi comunque si ascoltavano così e ci piaceva. Le cose sono cambiate nei primi anni ottanta con l’avvento del cd. Le case produttrici non hanno perso tempo, migliorando notevolmente i propri prodotti immettendo sul mercato una lunga serie di innovazioni tecniche. Ho avuto la possibilità di ascoltare apparecchiature di fascia medio-alta prodotte in quegli anni: estremamente raffinate, realizzate con cura e dotate di componenti eccellenti. Non da meno il fattore estetico...quelle macchine sono davvero bellissime, come non se ne vedono più. Ecco che oggi si ritorna su quelle macchine ma...oltre al valore estetico, tecnico e storico si può parlare di un valore aggiunto relativo alla qualità? Siamo sicuri che il suono restituito da questi apparecchi sia più fedele di quello restituito da apparecchi “moderni”? Credo di no. Mediamente un impiantino da “minimo sindacale” costituito da apparecchi di ultima generazione è in grado di “suonarle” per bene ad uno di quegli impianti di cui sopra. Attenzione però. Me ne guardo bene da quei suoni estremamente dettagliati e velocissimi con scene super-profonde. Un disco in vinile (originale) del 1977 suonato così, non ci sta proprio. Suona meglio, d’accordo, ma incredibilmente risulta in sintonia con l’impianto del 1977 che avevo riesumato e suona...giusto! Ed ecco allora che timidamente si affaccia l’equazione del giorno: un cd pubblicato nel 2011 sta all’impianto “moderno” come il vinile del 1977 sta all’impianto “vintage”.


Mi spiego...negli anni settanta la realizzazione di un disco passava dallo studio di registrazione dove il fonico, sotto l’attenta supervisione dell’artista ed il produttore, eseguiva il “mixdown” (il missaggio finale) attraverso apparecchiature analogiche di altissima qualità. Il master finale era sempre una bobina di nastro da ¼ di pollice, velocità 38 cm per secondo. Il master veniva ascoltato e riascoltato dagli stessi più volte, spesso utilizzando impianti monitor diversi. Una volta deciso (più o meno) all’unanimità che la registrazione era corretta, il produttore consegnava il master alla casa discografica, che a sua volta si sarebbe occupata della parte industriale, stampando il lavoro su vinile. Per “registrazione corretta” si intende come ottimale relativamente alla possibilità da parte del pubblico di ascoltare il disco con gli impianti disponibili all’epoca! Allora succedeva che gli artisti spesso si lamentavano del fatto che il loro lavoro, una volta pubblicato su vinile, non suonava come avrebbe dovuto...


Questo accadeva per diversi fattori. La qualità del vinile, il metodo di stampa, ma soprattutto il “mastering”, ovvero il riversaggio in più fasi del lavoro dalla bobina ¼ di pollice per arrivare al metal master in negativo che sarebbe servito per le presse di stampa. Chi si occupava del mastering, elaborava ulteriormente il suono secondo le esigenze di stampa. Armato di compressori, limiter, equalizzatori ed un apposito mixer “sistemava” livelli, picchi, dinamica etc. Questo non piaceva affattoagli artisti che si trovavano spesso i loro lavori “smanettati” all’eccesso...

Ergo: ha senso ascoltare oggi una rimasterizzazione su cd evidentemente differente dall’originale?

se sì, meglio con un impianto moderno?


Tutto questo è fortemente caratterizzato dalla soggettività. Chi intende la fedeltà anche come conservazione dell’originalità si atterrà scrupolosamente al vinile originale suonato magari con impianti d’epoca, altri cercheranno la riedizione più “smanettata”, in grado di offrire maggior dettaglio e scena, in sintonia con gli impianti moderni. Tecnicamente gli impianti “vintage” soffrono di un annoso e sgradevole problema legato soprattutto ai condensatori che invecchiano e spesso abbandonano la loro vitale funzione, ma basta saperlo...

Le pubblicazioni di oggi sono spesso estreme. Il lavoro dell’artista viene sempre (con le dovute eccezioni) registrato e masterizzato in digitale, il vecchio mastering convertito in digitale, dove si usano dosi massicce di “dithering”, il terribile “smanettamento” di oggi.

Personalmente, grazie all’aiuto di esperti del settore, ho trovato il giusto compromesso. Con molta pazienza ho assemblato

un impianto costituito da apparecchiature dei primi anni novanta, rigorosamente inglesi e di fattura decisamente artigianale.

Exposure, Rogers, Creek, Rega, Foundations svolgono perfettamente il lavoro che regolarmente affido loro, senza distinzione di supporti, formati, originali e riedizioni. (grazie Alle!)


Queste erano solo quattro chiacchiere, sicuramente soggettive, da prendere come curiosità; ma recentemente ho avuto l’occasione di ascoltare un impianto blasonato e molto costoso. Mentre ascoltavo dettagli forse mai sentiti da un cd degli U2

mi è venuta in mente una citazione estratta da un grande film:”...sei tutto chiacchiere e distintivo”.


Marco Reverberi


aggiornamento agosto 2014:


A proposito di “vecchi” amplificatori hi-fi, ricordo che nel lontano 1976 acquistavo regolarmente le pubblicazioni di “Suono” e l’immancabile “annuario” nel quale trovavo qualsiasi modello disponibile sul mercato.

Sognavo l’agonato “integrato” migliore per il mio futuro impianto ed a quei tempi con “integrato” si intendeva “dotato di circuito integrato”, ovvero il classico “millepiedi” a semiconduttore. Nulla di più sbagliato. Per “integrato” infatti si intendeva quello che oggi chiameremmo un “compatto”!

Tecnicamente l’integrato era riferito infatti ad un contenitore unico per preamplificatore e finale, con tanto di filtri etc.

Già allora gli amplificatori avevano caratteristiche tecniche tali da superare lungamente lo standard DIN tedesco relativo all’alta fedeltà.

Questo però non migliorava di fatto la qualità sonora di ascolto. E’ sufficiente pensare al fattore di distorsione armonica. I produttori carcavano di abbassare sempre più la soglia di questo valore, ma non si si può valicare il limite fisico umano, che rimane in media all’incirca del 1%. Già da questo si evince più una questione relativa al marketing che di reale necessità. Allra si ascoltava soprattutto il disco in vnile e la stragrande maggioranza dei dischi reperibili sul mercato veniva incisa con una banda passante al di sotto dei 18 Khz ed una distorsione minima fino al 2%. I diffusori acustici più venduti di allora (in media) presentavano distorsioni alle basse frequenza tra il 5 ed il 10%.

Così si finisce per cascare sempre lì. Ascoltare oggi con un “signor” impianto uno dei dischi prodotti nel 1976 è un pò come ascoltare un cd nel quale abbiamo riversato una vecchia audiocassetta…il supporto è di grande qualità, ma il contenuto sonoro rimane inevitabilmente quello di una “cassettina”.

Certo al giorno d’oggi le cose vanno diversamente, gli impianti riproducono molto fedelmente ad esmpio un cd prodotto ai giorni nostri, ma in questo caso l’incisione d’origine è molto diversa e si parte col piede giusto, molto…hi-fi!

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